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05 agosto, 2006

Sidun_Sidone / Ancora morte in Libano



SIDUN

U mæ ninin u mæ
u mæ
lerfe grasse au su
d'amë d'amë
tûmù duçe benignu
de teu muaè
spremmûu 'nta maccaia
de stæ de stæ

e oua grûmmu de sangue ouëge
e denti de laete
e i euggi di surdatti chen arraggë
cu'a scciûmma a a bucca cacciuéi de bæ

a scurrï a gente cumme selvaggin-a
finch'u sangue sarvaegu nu gh'à smurtau a qué
e doppu u feru in gua i feri d'ä prixún
e 'nte ferie a semensa velenusa d'ä depurtaziún
perché de nostru da a cianûa a u meü
nu peua ciû cresce aerbu ni spica ni figgeü

ciao mæ 'nin l'ereditæ
l'è ascusa
'nte sta çittæ
ch'a brûxa ch'a brûxa
inta seia che chin-a
e in stu gran ciaeu de feugu
pe a teu morte piccin-a

(traduzione)

SIDONE
Il mio bambino il mio
il mio
labbra grasse al sole
di miele di miele
tumore dolce benigno
di tua madre
spremuto nell'afa umida
dell'estate dell'estate
e ora grumo di sangue orecchie
e denti di latte
e gli occhi dei soldati cani arrabbiati
con la schiuma alla bocca
cacciatori di agnelli
a inseguire la gente come selvaggina
finché il sangue selvatico
non gli ha spento la voglia
e dopo il ferro in gola i ferri della prigione
e nelle ferite il seme velenoso della deportazione
perché di nostro dalla pianura al modo
non possa più crescere albero né spiga né figlio
ciao bambino mio l'eredità
è nascosta
in questa città
che brucia che brucia
nella sera che scende
e in questa grande luce di fuoco
per la tua piccola morte.

Fabrizio de Andrè

Le piccole vittime libanesi del nuovo conflitto fra israele e il libano ci ricordano cos'è la guerra, al di là delle cause, al di là del torto e della ragione.
De Andrè scrisse questo pezzo ricordando le vittime di Sidone, nel conflitto che negli anni '80 aveva già lacerato il paese dei cedri.
Sono parole scandalosamente attuali.

4 Comments:

At agosto 06, 2006 1:24 PM, Anonymous Anonimo wrote...

Canzone stupenda del Faber. Un piccolo appunto, anche se in uno spazio che, in quanto estetico, è apolitico. Freddamente, senza pathos, si contino i morti arabi (civili), o comunque musulmani, e poi si contino tutti i morti civili "occidentali". La sproporzione è immensa. Numeri per gente che non sente le ossa che vengono stritolate sotto i propri passi... Quelle immagini, rappresentate dal Faber, le ho sentite descritte dalla viva voce di un amico libanese che raccontava il primo conflitto degli anni '70-'80. Noi non siamo solo testimoni, siamo complici anche se silenti

 
At agosto 07, 2006 7:18 PM, Blogger the OBLIQ project wrote...

hai ragione, le cose vanno viste sempre da entrambi i lati.
Senza sfociare nel qualunquismo, credo che sia importante ricordare le vittime dei kamikaze, e il terrore di chi vive e ha vissuto la paura e le schegge delle bombe.
Siamo complici,, certo. Però è meno complice chi, almeno, spende qualche minuto per pensarci...e non solo sulla base di una suggestione estetica, ma per civile indignazione.
v.

 
At agosto 16, 2006 9:39 AM, Anonymous Anonimo wrote...

Penso che non è questione di politically correct, penso che sia quetione di genio che racconta un momento, giusto o sbagliato, parziale o imparziale è una discussione sterile. Non credo ci sia nessuno migliore di De Andrè per far parlare delle maschere. Ma appunto sono maschere, non c'è mai giudizio nelle sue parole.

 
At agosto 18, 2006 9:57 PM, Blogger the OBLIQ project wrote...

mav, grazie per il commento:::
Credo che la tua sia certamente la prospettiva giusta...parlando di opere d'arte, che sono sempre frutto di un linguaggio mediato. Non sarebbe giusto ridurre a dato storico o di cronaca la composizione e il dolore/ispirazione di un artista.
Tuttavia, la citazione di De Andrè era uno spunto e un ringraziamento per l'occasione di riflessione.
Come citare Pasolini, o Giotto.
Il resto è discussione di noi mortali, derivata e certamente limitata, suscitata proprio dall'opera d'arte. Come tutte le discussioni, ha virtù espansive. Tutto questo può succedere proprio perchè l'opera d'arte non vincola, ma stimola.
Infatti, crediamo fermamente che l'arte abbia uno scopo.

 

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